Pare che una rara e sfuggente specie di farfalla bruna e striata di rosso stia tornando a proliferare lungo le rive del Tamigi a Londra, dopo essere quasi del tutto scomparsa nel corso del Novecento. Si tratta della tecla della betulla – in inglese brown hairstreak, “ciocca marrone” – e secondo l’Hertfordshire e Middlesex Butterfly Conservation questa specie, che di solito si nasconde sulle cime degli alberi in estate, ha ripreso a deporre le uova in diverse aree urbane, molto probabilmente a causa del cambiamento climatico.
A volte ritornano, verrebbe da dire. Non è purtroppo così per molte altre specie. E questo può provocarci sconcerto e senso di impotenza.
“Solastalgia” è un termine specifico per indicare proprio quel sentimento misto di costernazione e tristezza che scaturisce al cospetto della distruzione ambientale e degli effetti della crisi climatica. A coniarlo è stato il filosofo Glenn Albrecht, docente alla Murdoch University di Perth, in Australia.
In un recente articolo, la giornalista Nell Frizzell racconta di avere provato un’irreprimibile inquietudine mentre osservava una precoce e inaspettata fioritura a fine gennaio. Insomma, l’inspiegabile convinzione che qualcosa non torni in dei fiori rosa adagiati su dei rami ancora vividi come ossa. In quel preciso istante, Frizzell crede di aver provato un qualcosa di simile alla solastalgia, appunto.
Descritta come la mancanza di casa quando si è ancora a casa, il termine introdotto da Albrecht è passato ad abbracciare in una concezione semantica più ampia non solo il proprio ambiente, ma l’intero pianeta: una casa che non sarà più com’era e di cui si avverte già una profonda nostalgia.
Questo è un nuovo Brunch con VAIA e da questa solastalgia ci lasceremo guidare fino in alta quota. La montagna, con i suoi fragili ecosistemi è un’importante vedetta del clima che cambia. E se da un lato ancora si continuano a sfruttare i suoi versanti per gli sport invernali, anche in totale assenza di precipitazioni nevose, c’è chi per proteggerne i delicati equilibri cerca di ripensare al turismo montano in piena stagione sciistica.
CALDO IN ALTA QUOTA
A fine gennaio sul Monte Grappa la colonnina di mercurio ha raggiunto 13,3 gradi a 1540 metri di quota. «A Susa – spiega Daniele Cat Berro della Società Meteorologica Italiana e redattore di Nimbus – grazie alla stazione meteorologica Arpa Piemonte installata secondo gli standard internazionali, sono disponibili dati validati dal dicembre 1990. In 34 anni di misure il numero medio di giorni con temperatura massima ≥ 20 °C nel trimestre dicembre-febbraio è circa raddoppiato, e non se ne erano mai rilevati tanti come in questo inverno (7, e il trimestre non è finito). Episodi di foehn caldo accadevano anche in passato – soprattutto nel fondovalle della Val di Susa, tra i più esposti delle Alpi ai foehn caldi da Ovest – ma la frequenza e l’intensità degli eventi invernali caldi di questi anni non hanno precedenti noti da quando si fanno osservazioni».
Qualche mese fa, nella notte tra il 20 e il 21 agosto, la radiosonda della stazione di Payerne, in Svizzera, ha dovuto raggiungere i 5.298 metri di altitudine per registrare lo zero termico: un record assoluto dall’inizio delle misurazioni nel 1954. Quella stessa notte la stazione di Novara Cameri ha registrato lo zero termico ancora più in alto, a ben 5.328 metri.
Perché è così importante questo dato? Lo zero termico è fondamentale per valutare lo stato di salute delle nostre montagne e del clima più in generale. Indica la quota sopra la quale le temperature rimangono sempre e solo negative. Dal 1991 al 2020 la media dello zero termico è stata 2.570 metri sul livello del mare, oscillando tra i mille e i duemila metri in inverno e tra i tremila e i quattromila metri in estate.
Insomma, notizie abbastanza sconfortanti sullo stato di salute delle nostre montagne. Basti pensare che il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato sulla Terra nell’ultimo secolo e mezzo. «La crisi climatica con l’aumento delle temperature sta ridisegnando i profili delle nostre montagne con, ad esempio, un’accelerata della fusione dei ghiacciai e dall’altra parte la necessità di sparare in quota neve artificiale per sopperire alla riduzione delle precipitazioni nevose e consentire agli impianti di risalita di operare a pieno regime», ha dichiarato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente. L’Italia, infatti, stando alle ultime stime disponibili, è tra i paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale, con ben il 90% di piste innevate artificialmente.
ACCANIMENTO TERAPEUTICO
Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi Legambiente, a proposito dello sfruttamento dei versanti montuosi e di monocoltura sciistica praticata su gran parte delle montagne italiane, parla di «accanimento terapeutico». In particolare, riflette quale futuro possa attenderci in quasi totale assenza di precipitazioni nevose nei nostri inverni: «Dobbiamo ripensare complessivamente il nostro rapporto con la neve, beneficiarne quando arriva e non pretenderla a tutti i costi quando non c’è.
Bisogna andare oltre, lavorare sulla diversificazione dell’attività turistica sostenibile, su nuove forme di adattamento, perché il Paese paga già lo scotto di un accanimento terapeutico senza tener conto della crisi climatica che avanza e degli oltre 200 impianti dismessi e abbandonati che abbiamo censito nel 2023 sulle montagne italiane».
Nel report Nevediversa del 2023, Legambiente ha censito ben 249 impianti dismessi (12 in più rispetto al 2022), 138 quelli temporaneamente chiusi e 181 quelli sottoposti ad accanimento terapeutico, ossia che sopravvivono con forti iniezioni di denaro pubblico.
Legambiente denuncia in particolate la decisione del Ministero del Turismo di stanziare 148 milioni per finanziare gli impianti di risalita contro i 4 milioni messi a disposizione per la promozione dell’ecoturismo.
Oltre a quelli economici, la neve artificiale ha ingenti costi ambientali in termini di consumo idrico ed energetico. E in un’ennesima stagione invernale avara di neve, se ne dovrà sparare moltissima per tenere aperti gli impianti.
Secondo la fondazione Cima, a metà dicembre 2023, nonostante un inizio novembre con buone precipitazioni nevose, si è rilevato un deficit di precipitazioni nevose del 44%. Con il mese di gennaio 2024 è arrivata una boccata di ossigeno per le località sciistiche grazie alla perturbazione di inizio anno, tuttavia le previsioni non sono confortanti: secondo il Centro Europeo Meteo, infatti, ci saranno fino a +3°C al di sopra della media su buona parte dell’Europa nei restanti mesi invernali.
ALTRI MODI DI VIVERE LA MONTAGNA
Nell’atteso report di Legambiente Nevediversa 2024, in uscita in primavera, oltre allo stato di salute delle montagne italiane, si parla di buone pratiche e di dieci storie che arrivano dalle Alpi – italiane, svizzere e austriache – e dagli Appennini. Questi racconti restituiscono la capacità necessaria di innovare l’offerta turistica in piena crisi climatica e di valorizzare il patrimonio storico e paesaggistico delle montagne. Di esempi virtuosi ce ne sono diversi: si va dal Piemonte alla Sardegna, fino all’Austria.
Il comune di Balme, in provincia di Torino, dopo aver vietato la pratica dell’eliski, guarda oltre partecipando a progetti come “Beyond the snow”, “Oltre la neve”, ovvero un Alpin Space rivolto alle località che dovranno reinventarsi per la carenza di precipitazioni nevose.
Un po’ più a sud, il Comprensorio Broncu Spina in provincia di Nuoro ha un impianto sciistico ormai non più attivo da molto tempo. Nonostante ciò, turisti ed escursionisti sono disposti a fare un po’ di strada a piedi avventurandosi in tour esperienziali lungo i pendii accompagnati da una guida.
Spostandoci oltralpe, invece, si trova Dobratsch, la stazione sciistica austriaca a zero impianti. Dal 2001, infatti, l’attività è stata interrotta perché non era più conveniente mantenere in piedi gli impianti di risalita e i costi di gestione erano diventati troppo alti. Gli impianti sono stati smontati e venduti, e si sono intensificate le attività di turismo dolce e sostenibile.
(Y)OUR VOICE – La parola dei Vaier
E tu, che rapporto hai con la montagna? Hai mai provato quella che potrebbe definirsi “solastalgia” di fronte ai versanti nudi e rocciosi in piena stagione invernale? Se ti va di raccontarcelo o vuoi segnalarci una storia di turismo responsabile anche in alta quota, scrivici a info@vaia.eu
Intanto, ti ringraziamo per aver partecipato a questo Brunch sostenibile.
A presto!
Team VAIA